Jüterbog è un borgo di 12.300 abitanti, situato a 60 chilometri a sud-ovest di Berlino, nel Brandeburgo. Fondato già prima dell’anno Mille da popolazioni slave poi convertite al cristianesimo, come buona parte del territorio tedesco, passò attraverso molteplici bandiere, prima di approdare al Regno di Prussia con il Congresso di Vienna del 1815.
Case basse con tetti spioventi e i giardini privati nel retro, tanto verde pubblico, un centro storico ancora oggi decorato da pezzi di porte antiche, e poi il campanile della chiesa gotica di St. Nikolai, costruita nel XIII Secolo. Dintorni di campi, laghetti e fittissime foreste, un’economia locale basata su turismo, agricoltura e allevamenti meccanizzati e moderni, una demografia anziana, a tratti declinante, come in molte altre contrade della Germania orientale post-Muro.
Sono sufficienti pochi minuti di cammino fuori dal centro per mutare brutalmente questo idillio di quiete in uno scenario di colori grigi, mattoni rossi e muri scrostati. Jüterbog, è circondata dai gusci vuoti e dalle rovine di diverse grandi installazioni militari, completamente abbandonate da ormai un quarto di secolo.
300. È questo l’impressionante numero di manufatti ed edifici, di ogni forma e dimensione, lasciati inutilizzati o derelitti intorno alla cittadina. E sono ben quattro gli agglomerati di utilizzo militare ancora esistenti che emergono silenziosi e senza vita dalla foresta intorno al borgo. A ridosso del centro abitato, appena a nord della ferrovia che collega il paese a Berlino, incombono gli antichi dormitori militari tardo-ottocenteschi di Tauentzienstraße, oggi noti come Altes Garnison.
In direzione opposta, a meno di un chilometro a sud del centro, si trovano il baraccamento e i locali piloti di quello che una volta era il piccolo aerodromo militare di Jüterbog Damm. A ovest della cittadina, lungo la strada che si apre in direzione di Potsdam, si incontrano i resti ormai in rovina della gigantesca rimessa per carri armati e veicoli di Neues Lager, attorniata da caserme e dormitori e dall’edificio di un grande ospedale militare, ancora integro.
Ma è a quattro chilometri a nord-ovest che l’architettura militare di Jüterbog sfiora l’enormità, pur nell’abbandono. Nei pressi di quello che oggi appare come un piccolo aerodromo da turismo – e che fu invece, a lungo una vera e propria base per aerei da combattimento – si ergono, ancora intatte, le imponenti caserme aeronautiche di Altes Lager. Un agglomerato di edifici colorati di giallo, raccolti attorno ad una piazza d’armi da sola vasta quasi due ettari. Un vero e proprio campus/caserma, che svolse anche la funzione di accademia di addestramento per tecnici e piloti militari.
A nord di questo cimelio di modernariato architettonico, dall’omonimo sobborgo nato intorno alla struttura, si dipanano due piccoli sentieri. Uno, diretto verso nord-est, è delimitato da una lunga serie di vecchi acquartieramenti per truppe e magazzini; il secondo, diretto a nord-ovest, conduce ai resti, in larga parte demoliti ed oggi sovrastati da un grande parco di pale eoliche, di un enorme deposito di munizioni.
Più lontana, misteriosa e defilata dagli altri relitti, a sette chilometri a nord-est dal centro abitato, lungo la linea ferroviaria, giace invece la caserma per soldati e carri armati di Forst Zinna. Costruita nel bel mezzo della boscaglia, è oggi immersa in una riserva naturale, la cui umida natura selvaggia sta lentamente divorando i palazzi un tempo occupati dai soldati.
Suona incredibile una simile concentrazione di edifici militari attorno ad un centro abitato così piccolo, ed oltretutto lontanissimo da confini, città e grandi vie di comunicazione. Ma è sufficiente riavvolgere la macchina del tempo di tre decenni per spiegare tutto questo. Fino alla metà degli anni ’80, Jüterbog ospitava infatti non meno di 40.000 militari russi, distribuiti nelle varie guarnigioni, un numero pari a quasi tre volte la popolazione di allora della cittadina. Si trattava di uno dei maggiori agglomerati di installazioni militari estere di proprietà dell’Unione Sovietica nell’intero Patto di Varsavia. Ed era la seconda della Germania Orientale per numero di militari russi presenti dopo la più celebre Wundsdorf, 50 chilometri più a nord-est, dove il numero degli acquartierati superava i 70.000, anche se in questo caso comprendeva molte famiglie dei soldati al seguito.
La storia militare di Jüterbog, è lunga oltre 130 anni. Un lungo sentiero troppo denso di testimonianze, edifici, evoluzioni, drammi e aneddoti per poterne parlare tramite informazioni sommarie. Per delinearla, è necessario l’aiuto di uno storico del luogo, meglio ancora se testimone diretto di parte di questa saga.
In un soleggiato sabato pomeriggio di settembre, Henrik Schulze ci accoglie con una secca stretta di mano ed un sorriso all’Herrmanns, un grazioso ristorante-albergo con un secolo di attività alle spalle, situato di fronte all’antico palazzo municipale di Jüterbog. 69 anni, baffi lunghi all’antica e una vita spesa dividendosi tra la carriera di cronista locale, biblioteche, archivi ed ora un negozio di antiquariato, Schulze è un abitante “doc” del luogo. Ma è soprattutto uno storico locale che ha dedicato decenni a studiare le lunghe vicissitudini militari della città, ricavandone una miniera di racconti, che inizia subito a trasmetterci.
“Durante la DDR, ogni area comunale della Germania dell’Est doveva avere almeno un cronista locale. Nel 1977 mi candidai per questa posizione e iniziai a scrivere anche di storia della città. Caduto il Muro, è venuto meno come lavoro retribuito, ma ho continuato per passione personale”. Un lungo limpegno di ricerca per biblioteche, archivi militari e civili, culminato in una quadrilogia di libri, intitolati Jammerbock, interamente dedicati alla lunga storia delle installazioni militari sorte nei dintorni.
“Jüterbog fu sede di una piccola guarnigione militare fin dalla prima metà del XIX secolo” racconta Schulze. “Il primo distaccamento militare è risalente addirittura al 1832. La militarizzazione accelerò nel 1864, con l’arrivo della Terza Brigata di artiglieria dell’esercito prussiano. Ma la realizzazione di infrastrutture su vasta scala avvenne solo con la riunificazione tedesca e la proclamazione dell’Impero, nel 1870-71, quando l’esercito comprò 20 ettari di terreno per realizzarci un vero e proprio poligono per le esercitazioni degli artiglieri.
Il più importante centro di addestramento per l’artiglieria dell’esercito era situato originariamente a nord di Berlino, nella zona oggi occupata dall’aeroporto di Tegel. L’esercito prussiano intendeva inizialmente estendere questo campo, ma l’espansione di Berlino suggerì di spostarlo lontano dall’area urbana. La scelta cadde su Jüterbog per diverse ragioni: il distaccamento militare già esistente sul posto, il basso costo dei terreni e le caratteristiche paludose del territorio. Soprattutto, la presenza di un collegamento ferroviario, del tutto essenziale per il trasporto di grandi quantitativi di truppe, così come dell’artiglieria”.
La ferrovia raggiungeva Jüterbog fin dal 1841. A favorire però la rapida costruzione del grande accampamento fu anche un inaspettato arrivo di manodopera a costo zero. “Nel 1870, 9.000 prigionieri di guerra francesi catturati durante il conflitto franco-prussiano, furono deportati in un campo di prigionia realizzato vicino al baraccamento in costruzione. Qui, furono utilizzati per la realizzazione del poligono di tiro e delle prime caserme appositamente costruite per gli artiglieri. Così nacque il primo nucleo di quello che oggi è noto come Altes Lager”. (in tedesco, semplicemente “il vecchio campo”).
La costruzione di questo primo tassello del puzzle portò però con sé anche la prima pagina nera della sua storia. Molti tra i prigionieri francesi non sopravvissero infatti agli stenti ed alle malattie contratte durante la prigionia e i lavori sul sito. Furono seppelliti in un piccolo cimitero nei pressi del campo, dove a loro memoria, già nel 1871, fu innalzata una lapide a forma di obelisco tronco con una iscrizione. Sepolcro e monumento caddero poi nell’abbandono, e vennero inglobati nell’enorme deposito di munizioni costruito a nord di Altes Lager, realizzato due decenni dopo.
La storia delle caserme era però appena cominciata.“Nel 1889,” prosegue Schulze“ si decise di trasformare i poligoni di tiro per l’artiglieria nella Scuola di Addestramento ufficiale dell’intero esercito. E fu allora che si prese la decisione di allargare le strutture, acquisendo altri 2.000 ettari di territorio più a sud del primo campo.”
Tra il 1890 ed il 1897, in questa area, più vicina alla cittadina della precedente, sorsero magazzini per l’equipaggiamento, un estesissimo poligono di tiro, le officine di riparazione e sostituzione pezzi per l’artiglieria e le rimesse per ripararle dalle intemperie. Furono anche edificati eleganti alloggi per gli ufficiali, inclusivi di una sala da gioco per il tempo libero. Per la sistemazione di soldati ed artiglieri, furono innalzate grandi strutture in muratura e mattoni rossi nei pressi del poligono, ed anche in un’area distante circa un chilometro e subito a nord dello scalo ferroviario: le caserme di Tauentzienstraße.
“All’alba del XX Secolo,” prosegue Schulze “i campi militari si estendevano già su oltre 3.000 ettari di terreno, una delle estensioni militarizzate più grandi d’Europa. Neues Lager aveva preso la sua forma”. L’addestramento per l’artiglieria rese però anche necessario un grande spazio di immagazzinamento di munizioni ed esplosivo, da stipare in sicurezza. Nel 1896, a nord del vecchio campo di Altes Lager, fu quindi realizzato un enorme deposito di munizioni, completo di un impianto per la manutenzione di proiettili ed esplosivi e che successivamente si sarebbe trasformato in una vera e propria fabbrica.
Il gran numero di soldati acquartierati nelle caserme e la pericolosità dell’addestramento al quale erano sottoposti rese necessario realizzare anche un presidio ospedaliero perenne. Tra il 1890 ed il 1893, immediatamente a sud di Neues Lager, fu edificato quindi un grande nosocomio, che al momento del completamento vantava oltre 250 posti letto: una dimensione sufficiente ad allargare l’accesso alle cure anche alla popolazione locale, fino a quel momento servita da strutture sanitarie inadeguate. L’edificio della guardiola dell’ingresso meridionale del campo lascia presto il passo all’imponenza di questo grande complesso, un edificio a forma di “E”, composto da un’ala principale, lunga 140 metri, dalla quale si dipanano tre “navate” retrostanti lunghe altri 50 metri ciascuna. Ammodernato negli anni ‘30 con un alto colonnato sulla scalinata d’ingresso, l’edificio si allunga verso l’alto di tre piani, incluso il sottotetto. Non è esagerato dire che il complesso è sufficientemente grande da potercisi perdere al suo interno, anche considerato lo stato di degrado nel quale regnano tutti i suoi locali.
Al piano terra è ancora possibile notare i tratti distintivi della vita ospedaliera.
Una grande stanza operatoria coperta di piastrelle azzurre, con una vecchia lettiga per malati arrugginita. Subito a fianco, un locale pitturato di giallo, sul quale si apre la porta metallica di una cella frigorifera. L’abbandono si fa quasi scenico nei piani più alti. La prospettiva mozzafiato del lunghissimo corridoio dell’edificio centrale, fatta di muri e porte di legno scrostate senza più alcuna suppellettile ad ostruire la vista, danno accesso ad una sequenza senza fine di stanze vuote, delimitate da pareti divorate dalla muffa e dal tempo. L’enorme quantitativo di stanze e ambienti, separati gli uni dagli altri, rende molto bene l’idea di quanto fosse ampio il numero di persone che questo ospedale fosse chiamato ad assistere.
Un’impressione suffragata dal racconto di Schulze “L’intero addestramento dell’artiglieria della Germania guglielmina pre-grande Guerra passò da questi campi”, prosegue lo storico. “Venne sperimentata ogni singola innovazione del settore dell’epoca. Tra i tipi di artiglierie che qui spararono i loro primi colpi vi fu anche – nel 1909 – la nota Dicke Berthe”. Si trattava di un obice a corta gittata ma con un’enorme bocca di fuoco, 420 millimetri, derivato dalla modifica di un cannone navale. “L’obice fu posizionato poco distante dalla vicina Luckenwalde, e fatto sparare in direzione del poligono di Neues Lager per testarne la gittata utile e l’effetto. Nell’area-bersaglio, erano stati fedelmente ricostruite le fortificazioni belliche da manuale, tipiche sia dell’esercito tedesco che di quello francese, per verificarne la resistenza. L’effetto distruttivo fu tale che i comandi militari tedeschi fermarono la costruzione di bunker dello stesso tipo su tutte le aree di confine della Germania, convinti che presto o tardi gli eserciti degli altri Paesi avrebbero risposto con armamenti di altrettanta potenza”.
L’arrivo della Berthe sui campi di battaglia della Grande Guerra colse però di sorpresa soprattutto gli Alleati. Nell’agosto 1914, l’obice sbriciolò i forti belgi di Liegi e Anversa. Fu poi utilizzato con successo contro i bunker delle difese russe sul Danubio, e nel 1916 fece altrettanto con i bunker francesi del Forte Vaux durante la carneficina di Verdun. Un’arma di successo tale da essere perfino riesumata dal Terzo Reich durante il secondo conflitto mondiale. L’obice, restaurato e rinominato Gilda, venne infatti utilizzato per bombardare la piazzaforte sovietica di Sevastopol, in Crimea, nel giugno del 1942; e poi di nuovo contro il centro cittadino di Varsavia nell’agosto 1944, durante la feroce repressione dell’insurrezione della capitale polacca contro gli occupanti.
L’impatto di queste installazioni fu inizialmente positivo per la cittadina, specialmente sul versante economico. “L’economia agricola di Jüterbog era stata a lungo relativamente benestante durante il Regno di Sassonia. Ma dopo l’annessione alla Prussia, la comunità, isolata dalle grandi vie di comunicazione, era rimasta emarginata dall’industrializzazione, a differenza di altri centri come la vicina Luckenwalde. L’arrivo delle infrastrutture militari divenne quindi un volano di riscatto. Le necessità di rifornimento delle truppe stanziate sul posto diedero un notevole impulso alla domanda di beni alimentari prodotti dall’agricoltura e dall’allevamento locale”.
Ma l‘arrivo di militari specializzati e ben stipendiati – in particolar modo se ufficiali – stimolò soprattutto le attività commerciali e ricettive nel centro cittadino. “Nel 1915 – prosegue Schulze – si contavano ben 60 tra locande, osterie, bar, ristoranti e piccoli alberghi, senza contare i negozi e gli artigiani”.
Anche l’industrializzazione, fino ad allora rimasta quasi assente dall’area, vide un certo sviluppo grazie alla crescente importanza che i trasporti militari diedero allo snodo ferroviario, del tutto inconsueta per un centro abitato di così piccole dimensioni. Una circostanza che ha a sua volta lasciato tracce vistose nell’abbandono che circonda il centro abitato. A meno di un chilometro a nord della stazione ferroviaria, i viaggiatori dei treni che passano di qui vedono scorrere dal finestrino i resti di un’imponente officina per vagoni e locomotori, al di sopra del quale svetta una pittoresca e inusuale torre piezometrica di 25 metri di altezza. Costruita nel 1917, assomiglia più al pinnacolo di un castello da fiaba che ad una riserva idrica pensile tipica delle vecchie ferrovie, con i suoi esterni di mattoni rossi ed il tetto spiovente nero a punta.
Negli anni precedenti la Grande Guerra vide la luce anche il primo filone aeronautico dei campi militari, anche se inizialmente fu sempre collegato con l’attività della scuola di artiglieri.
“All’inizio del ‘900 non esistevano comunicazioni radio tra aerei e comandi militari di terra. L’unico modo per osservare dall’alto la precisione del tiro di artiglieria era spedire al di sopra del campo di battaglia palloni frenati per l’osservazione del tiro. A questi primi rudimentali velivoli da osservazione, seguì poi l’adozione dei dirigibili, ed infine anche dei primissimi aerei da utilizzo militare. Le prime installazioni aeree di Jüterbog, furono proprio ricoveri per piccoli aerostati. Ma già nel 1908, pochissimi anni dopo l’inizio della storia dell’aviazione, il campo di artiglieri vide la prima sperimentazione dell’uso di piccoli aerei da osservazione. Infine, nel 1916, nell’area di Niedergorsdorf, a sud-ovest di Altes Lager, vennero realizzati due veri e propri enormi hangar di quasi 300 metri, adatti ad ospitare gli Zeppelin, i grandi dirigibili da ricognizione, poi usati anche come velivoli da trasporto e bombardamento”.
Questa installazione fu presto completata da tutto il necessario per la preparazione delle grandi aeronavi, incluso un impianto di produzione di idrogeno per il gonfiaggio e la messa in volo.
Lontana dalle linee di tutti i fronti, Jüterbog offriva un luogo ideale per la preparazione di lunghe crociere di guerra. Lo scalo fu infatti testimone, nell’autunno 1917, del poco fortunato inizio del tentativo di rifornire con uno Zeppelin le truppe tedesche rimaste intrappolate dagli inglesi in Tanzania, sotto il comando del generale Paul Von Lettow-Worbeck. Il dirigibile, lo Zeppelin “LZ 102”, doveva fare scalo a Jüterbog per caricare le provviste per l’equipaggio e poi ripartire verso la base di Jambol, in Bulgaria, dalla quale avrebbe spiccato il volo diretto in Africa. Ma proprio quando giunse ad Altes Lager, la notte dell’8 ottobre 1917, fu colto di sorpresa da una tempesta.
“Il comandante del dirigibile decise di tentare l’atterraggio invece di allontanarlo dall’area del temporale. L’aerostato si abbatté al suolo mentre i militari di stanza tentavano di metterlo al riparo dentro uno dei due ricoveri. Si incendiò e fu completamente distrutto”.
La sconfitta della Germania nel 1918 pose momentaneamente fine all’epopea delle basi militari di Jüterbog. Il disarmo imposto dal Trattato di Versailles travolse le installazioni locali, come ci racconta il nostro interlocutore.
“Vasta parte dei campi di Altes e Neues Lager vennero utilizzati per diversi anni come ricovero per i profughi di guerra e gli sfollati dalle aree perse dalla Germania alla fine del conflitto. Ma molte strutture vennero chiuse e abbandonate, altre demolite, ed altre ancora addirittura smontate per essere spedite nei Paesi vincitori del conflitto come risarcimento per i danni di guerra, Italia inclusa.” Tra tutte, il destino di uno dei due hangar per dirigibili di Altes Lager fu sorprendente.
“La prima struttura collassò durante lo smontaggio per imperizia dei direttori dei lavori, provocando diverse vittime tra gli operai impiegati nell’opera. Il secondo, fu spedito via nave fino in Giappone, dove venne ricostruito, esattamente identico, nella stazione aeronavale di Kamisugara, nei pressi di Tokyo”.
I due campi per dirigibili furono chiusi e dati in affitto ai contadini locali, ma senza garantire loro i diritti di proprietà. Un escamotage che sarebbe servito poi al regime nazista per riprenderli senza indennizzi negli anni ‘30.
Il poligono di tiro per l’artiglieria fu utilizzato per la distruzione degli armamenti imposta dal Trattato di Versailles, in particolar modo per il brillamento delle granate per l’artiglieria. Un lavoro pericoloso, spesso effettuato frettolosamente e senza misure di sicurezza adeguate, come ci riferisce il nostro interlocutore.
“Il brillamento di proietti ed esplosivo militare provocò incidenti continui e spesso anche mortali. In una occasione in particolare, cinque tonnellate di esplosivo deflagrarono in un colpo solo su un campo nei pressi di Neues Lager. Miracolosamente non vi furono vittime, ma si registrarono parecchi feriti, quasi tutte le case della cittadina videro scoppiare i loro vetri e diversi tetti furono scoperchiati. L’onda d’urto fu così forte da essere registrata lievemente da un sismografo addirittura in Svizzera. Lo Stato rifiutò di pagare i danni per l’incidente, incolpando dell’accaduto un fantasmagorico sabotaggio di matrice comunista. Si era nell’epoca successiva alla repressione anti-spartachista e della “Red Scare” seguita alla Rivoluzione Bolscevica in Russia; additare complotti anche dove non ce n’era traccia, era pratica assai diffusa.”
L’apparato militare non fu comunque del tutto smantellato. Il campo di Neues Lager rimase presidiato da una piccola guarnigione di 1.500 soldati della Reichswehr, la forza di pura autodifesa che i trattati avevano autorizzato la Germania a mantenere.
Il declino delle attività militari dei vari siti si concluse a sua volta con la salita al potere del regime nazista e l’inizio del riarmo della Germania promosso da Hitler. Neues Lager vide immediatamente la ripresa delle attività di caserma ed artiglieria, subito occupato a questo scopo dalla Wehrmacht, il nuovo esercito tedesco. Le vecchie caserme prussiane di Altes Lager furono invece protagoniste di un’operazione molto particolare di indottrinamento formativo da parte del nuovo regime.
“Tra il 1933 ed il 1939, il Terzo Reich utilizzò parte delle caserme del vecchio campo come una accademia, il RefendarLager Jüterbog, atta a formare ideologicamente avvocati e giuristi fedeli all’ideologia nazista.” La scuola aveva una durata di otto mesi, obbligatori per chi volesse seguire la strada della professione forense sotto il nuovo regime. La formazione in questo campo aveva però dei risvolti piuttosto singolari, come riferisce Schulze: “Si trattava di fatto di una formazione a metà tra quella giuridica, quella puramente ideologica ed un campo di addestramento militare, con tanto di pesanti esercizi fisici e sedute di indottrinamento contro i nemici dello Stato.”
La scuola formò circa 20.000 tra avvocati e assistenti, tra i quali anche future personalità politiche della Germania occidentale, come il Presidente della Repubblica federale Karl Carstens, il Cancelliere Kurt Georg Kiesinger ed il giornalista Sebastian Haffner. Ma, come suggerisce Schulze, il successo di questa istituzione fu largamente esagerato dalla pubblicistica nazista. “Migliaia di studenti ed aspiranti avvocati rinunciarono a studi e carriera, inorriditi dall’enfasi ideologica dell’istituto o stremati dalle prove fisiche e dagli abusi da caserma che trovarono al suo interno”. Nel settembre 1939, la scuola fu spostata e le caserme tornarono all’utilizzo militare.
A vedere una vera e propria escalation durante il Terzo Reich fu però la realizzazione di nuove infrastrutture, che estesero ulteriormente le dimensioni delle aree militarizzate e le funzioni dei presidi militari sul territorio. A 7 km ad est della cittadina, a metà strada con il centro di Luckenwalde, in un’area boscosa vicina alla ferrovia, nel 1934 fu realizzata la caserma oggi nota come Forst Zinna, all’epoca eloquentemente battezzata “Caserma Adolf Hitler”. La sua realizzazione mise brutalmente fine alla sostanziale coesistenza tra gli abitanti dell’area e la militarizzazione del territorio. Per assicurare un perimetro di distanza intorno al nuovo baraccamento, vennero infatti sgomberati e demoliti i tre piccoli villaggi di Mehlsdorf, Felgentreu e Zinna. Come puntualizza Schulze, ”il corpo centrale ed il perimetro della nuova installazione aggiunsero da soli altri 10.000 ettari al totale del suolo militarizzato”.
Si trattava di uno spazioso acquartieramento nascosto tra gli alberi e virtualmente autosufficiente in ogni necessità. Era dotato di una propria centrale elettrica, una cambusa, magazzini, palestre e perfino una piscina ed un piccolo teatro interno. “Al momento dell’inaugurazione, nella struttura venne sistemato un intero reparto delle SS, che però ebbero breve permanenza sul posto”. Nel 1936 vi vennero infatti trasferiti i reparti addetti all’osservazione del tiro delle artiglierie del poligono di Neues Lager, e l’anno successivo la struttura fu dotata anche di una propria piccola stazione ferroviaria. La caserma fu in seguito completata da un ricovero per i mezzi corazzati, in particolar modo i cannoni d’assalto cingolati, utilizzati durante le esercitazioni.
Ma l’arma che fece nuovamente di Jüterbog la sede di installazioni pionieristiche fu la neonata Luftwaffe, l’aeronautica militare del Terzo Reich. Uno sviluppo avvenuto inizialmente in segreto, in quanto in violazione degli accordi sul disarmo che il nuovo regime volle inizialmente mantenere formalmente, mentre era ancora in corso il suo consolidamento.
La prima realizzazione fu il piccolo aerodromo di Jüterbog Damm, una striscia di prati e terra battuta di 800 metri subito a sud del centro della cittadina, completata da un baraccamento per piloti e un area briefing. Appena ultimato, nell’aprile del 1935, questo aerodromo seminascosto tra gli alberi vide la costituzione in gran segreto del II Gruppo dello Jagdgeschwader (Gruppo Caccia) 132. Si trattava del secondo scaglione del primo Stormo di aerei da caccia mai costituito della nuova aviazione, e che proprio per questo fu presto ribattezzato “Gruppo Von Richtofen”, in memoria dell’omonimo Manfred, il “Barone Rosso” asso della caccia nella Grande Guerra. Il campo fu in seguito utilizzato come area di addestramento dei piloti di aerei da caccia e ricognizione fino a guerra mondiale inoltrata.
Il regime nazista era però deciso a creare un conglomerato di sviluppo organico di diverse funzioni della nuova aviazione. E fu così che nell’area di Altes Lager, nel 1934-35 venne costruito il Flugplatz Altes Lager, un campo di volo lungo 1 km e mezzo, inclusivo di grandi hangars per il ricovero degli aerei. Ma a rendere particolare questo aerodromo fu l’infrastruttura ad esso collegata, che venne realizzata circa un chilometro più a nord del sito aeroportuale.
“Dozzine di vecchie strutture e caserme del primo campo per artiglieri del XIX Secolo vennero demolite. Al loro posto venne eretto un enorme complesso edilizio di caserme raccolte a intorno ad un’estesissima piazza d’armi. Il progetto edilizio portò la firma dell’architetto Werner March, lo stesso autore di quello dell’ Olympiastadium realizzato a Berlino per le Olimpiadi del 1936.” All’interno della nuova infrastruttura, la Luftwaffe costituì la Scuola Tecnica dell’Aviazione e la Scuola di Addestramento e sperimentazione medica dell’Aeronautica della Luftflotte 1 (Prima Flotta Aerea).”
“Si trattava di due veri e propri presidi scientifico-militari. Il primo era dedicato alla formazione degli ingegneri poi destinati alla manutenzione e riparazione dei velivoli; il secondo, allo studio delle implicazioni mediche del volo sui piloti. Quest’ultimo era un istituto di ricerca piuttosto avanzato per l’epoca. Nei laboratori si progettavano in particolar modo tute di volo adatte a proteggere il pilota dall’eccessiva velocità, per esempio durante le picchiate o le manovre evasive particolarmente violente durante i combattimenti aerei. La sperimentazione militare si protrasse in questo sito fino ai primi anni del secondo conflitto mondiale”.
Come diverse ricerche scientifiche a scopo militare della Germania nazista, anche questa scuola di formazione aveva però il suo sanguinoso retroscena di vite umane sacrificate. “La progettazione di queste tute avveniva anche grazie ai dati raccolti durante gli esperimenti su cavie umane effettuati nei campi di concentramento. Soprattutto, nel campo di sterminio di Dachau”.
Quello che stupisce il visitatore odierno, specie se informato sulle vicissitudini storiche e dell’importanza militare che rivestì di questo luogo, è lo stato di conservazione pressoché totale di questa struttura nella sua forma originaria. Non vi è alcun segno tangibile di danni subiti durante il conflitto e ricostruzione post-bellica, a parte alcune aggiunte effettuate dai sovietici durante la Guerra Fredda. Una circostanza confermata dal racconto di Schulze.
“Con l’approssimarsi del conflitto, eliminate le restrizioni alla corsa agli armamenti, alle attività di formazione tecnica e sperimentazione scientifica si affiancarono anche quelle più “tradizionali” di addestramento dei piloti militari, specialmente sul grande aeroporto. La Luftwaffe formò su questo campo reparti di piloti da caccia, ricognizione ed anche da bombardamento. Ad Altes Lager fu a lungo posizionato anche un reparto di velivoli addetto alla raccolta di dati per le previsioni meteorologiche. Ma nonostante questa inusitata concentrazione di attività di addestramento militare, né gli aeroporti né le caserme dei due campi principali furono oggetto di attacchi aerei degni di nota durante il conflitto. Le installazioni erano molto lontane dai fronti di guerra, e non erano situate nei pressi di alcun grosso obiettivo industriale militare. O per lo meno, nessuno dei quali gli Alleati fossero a conoscenza”.
Quest’ultima precisazione non ci viene fornita a caso. Proprio durante la Seconda Guerra Mondiale, infatti, la fabbrica di munizioni interna alla santabarbara di Altes Lager fu letteralmente ingigantita dalla domanda di centinaia di migliaia di granate per i fronti bellici. Al culmine dell’attività, questo impianto, per quanto non tra i più grandi del Terzo Reich, impiegava al suo interno non meno di un migliaio di civili e militari. Come ci riferisce il nostro interlocutore, la causa della mancata scoperta da parte della ricognizione aerea alleata di questo sicuramente appetibile obiettivo militare, furono gli accorgimenti involontariamente “ecologisti” adottati dai funzionari che ne monitoravano l’attività. “Alla fabbrica, nonostante l’enorme produzione di rifiuti metallici e chimici, vennero imposti standard anti-inquinamento molto severi per l’epoca, in quanto l’avvelenamento del suolo circostante avrebbe provocato la morte di piante ed alberi che ne coprivano la vista dall’alto”.
In compenso, però, l’attività operativa bellica vera e propria sugli aeroporti di Altes Lager e Jüterbog-Damm fu limitata solo alla parte finale del conflitto. Solamente nel 1943-45, infatti, in seguito all’intensificarsi dei raid aerei britannici e statunitensi su Berlino, i due campi di volo videro lo stabilirsi di gruppi dell’aviazione da caccia della Luftwaffe impegnati nella difesa dei cieli della capitale; ivi incluso un reparto di caccia notturni, equipaggiati con i primi modelli di rudimentali radar di bordo.
Gli unici danni bellici inflitti a tutto l’insieme delle installazioni furono alcune bombe aeree cadute sulla caserma di Forst Zinna e la sua stazione ferroviaria il 18 aprile 1945. Al momento dell’arrivo delle truppe sovietiche, l’area non offriva alcun ostacolo naturale adatto alla difesa, e fu frettolosamente sgomberata dai rimanenti reparti della Luftwaffe. Perfino il sabotaggio che tipicamente precedeva l’abbandono di obiettivi militari, fu limitato agli aerei ancora presenti sul campo di aviazione. Il 20 aprile 1945, l’Armata Rossa catturò le caserme e i campi di aviazione praticamente intatti.
Altes Lager è oggi un impressionante agglomerato di grandi edifici silenziosi e abbandonati, ma del tutto integri, che si estende su un perimetro di due chilometri e una superficie di 21 ettari. Il colore giallo dei muri delle sue caserme risalta ancora, tra gli alberi che circondano il sito nel suo confine meridionale. La piazza d’armi centrale si estende per 400 metri quadrati, uno spiazzo dove un tempo si tenevano le cerimonie mattutine di innalzamento della bandiera, le adunate della truppa e gli avvicendamenti di reparti. Oggi, la pavimentazione di cemento, che ricopriva quasi tutta la piazza, sta lentamente scomparendo, disgregata dall’innalzarsi spontaneo di piante, erbacce e arbusti attraverso le sue crepe. L’ampiezza dello spazio non offre ostacoli al vento, che piega questa ingiallita prateria nascente come un qualunque luogo di aperta campagna, surrealmente circondato dagli edifici desolatamente vuoti.
Le costruzioni rispecchiano lo stile in voga in Germania tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, i cui esemplari, edifici di quattro o cinque piani con tetti a falda, comunemente noti come Altbau, adornano ancora molte vie di Berlino. In questo complesso si notano però contaminazioni da altri linguaggi architettonici, come i corpi scala esterni, interamente vetrati e perfettamente illuminati dalla luce naturale. “Un elemento piuttosto aderente alla scuola Bauhaus”, ci suggerisce Schulze. Ma che oggi rende il senso dell’abbandono di questo complesso ancora più vistoso ed inquietante: risalendo questi scaloni, si è letteralmente circondati da tre piani di vetrate in frantumi, le cui schegge scricchiolano non di rado sotto i piedi dell’esploratore.
A tutto ciò si aggiunge il classicismo monumentale e retorico dell’architettura del Terzo Reich, che salta immediatamente all’occhio guardandosi intorno una volta giunti al centro della piazza. Ma mentre le vie di fuga dalla corte ad est ed ovest sono oggi ostruite dagli alberi, lo sguardo verso nord è magneticamente catturato da un propileo, che introduce ad un’ulteriore piazza circondata da un edificio a esedra. Superati i pilastri snelli e scrostati della sua volta, tra finestre circolari e resti di porte e balaustre di ferro battuto impilate negli angoli, ci si trova davanti a questo grande semicerchio, dove sull’ingresso centrale si staglia un corpo scala grande due volte quelli degli altri edifici.
“Dentro questo edificio si trovavano la Scuola Tecnica, quella Medica ed i suoi laboratori. Mentre al piano terra del palazzo si trova una grande aula magna dotata di centinaia di posti, dove si tenevano le lezioni, ma anche conferenze e cerimonie”.
L’aula magna è oggi un luogo degno di un set di un film di fantascienza, dove decenni di abbandono hanno trasformato lo spazio in una grotta di rovine artificiali. Un muro di buio pesto accoglie chi penetra nella sala, talmente nero da inquietare anche alla vista della porta di accesso, un piccolo uscio dietro l’angolo di inizio di un corridoio.
Una volta entrati, le torce elettriche illuminano una platea di sedie nere pieghevoli ancora coi numeri bianchi incollati. Il soffitto, vistosamente scrostato, si fregia di alcune grandi lampade a palla attorniate da un rilievo a corona. Il palco rialzato dal quale l’oratore -o la proiezione- attiravano gli occhi del pubblico è ancora intatto, anche se marcescente. Su tutto, un’umidità che fa sbocciare il vapore dalla bocca, anche col caldo fuori, e il rumore di gocce che cadono sui manufatti di legno. La grande sala è vittima di pesanti infiltrazioni d’acqua, che in alcuni punti hanno fatto marcire il legno delle sedie in platea, depositando piccole stalagmiti di detriti.
L’entrata e l’uscita da questo antro ci catapultano di nuovo a contatto con la Storia, e in particolar modo con il cambiamento di bandiere e occupanti di questo sito. Sul fondo del corridoio che ci riporta allo scalone, una parete intera è decorata con la figura frontale e severa di un soldato armato di fucile che avanza con fare deciso verso lo sguardo di chi lo osserva. Alle sue spalle grandiose ondate di carri armati, navi da guerra, missili ed enormi formazioni di aerei, mentre tutto attorno al profilo del protagonista troneggia una grande bandiera rossa con la falce e il martello. Questo murales è anche l’unico elemento interno al campus oggetto di vistosi restauri da parte di ignoti artisti.
La separazione tra le due Germanie e l’escalation della Guerra Fredda, spinsero infatti rapidamente le truppe di occupazione sovietiche ad utilizzare tutte le infrastrutture di Jüterbog, a partire dal grande aeroporto di Altes Lager. Tra il 1946 ed il 1953, la base aerea vide avvicendarsi reparti di aerei di trasporto, ricognizione e anche bombardieri. Fino a quando, nel 1953, si posarono sulla sua pista gli aerei da caccia del Reggimento 833 della 16esima Armata delle Forze aeree sovietiche (VVS), che ne rimasero gli occupanti ininterrottamente per i successivi 37 anni. Tra gli anni ‘50 e ‘60 la pista e le sue installazioni vennero ingrandite ed ammodernate.
L’aeroporto fu dotato di una pista in asfalto lunga quasi tre chilometri, circondata di terrapieni, nuovi hangar, sale radar e di comunicazione radio, bunker sotterranei per l’immagazzinamento di carburante, missili e bombe. Attorno al complesso furono installate anche numerose batterie di missili anti-aerei. Le grandi caserme gialle di Altes Lager divennero quindi l’acquartieramento del reggimento di caccia.
Il piccolo aeroporto di Jüterbog-Damm, troppo piccolo, antiquato e vicino alla cittadina, fu invece declassato a pista per piccoli aerei da collegamento per le truppe di terra e successivamente per elicotteri da trasporto ed area di manutenzione veicoli.
Più complessa e interessante, per non dire “politica”, l’evoluzione dell’utilizzo della caserma di Forst Zinna. I sovietici utilizzarono inizialmente la struttura come un campo di smistamento per i tedeschi espulsi dai territori ceduti a Polonia e Cecoslovacchia. Ma nel 1947, cedettero la grande caserma al Partito Socialista Unificato Tedesco (SED), il neonato partito unico della futura Germania Orientale, che sarebbe stata fondata due anni dopo. La SED, ansiosa di dotarsi di una classe dirigente capace di governare autonomamente il territorio, ne fece una vera e propria scuola di formazione dei suoi nuovi quadri: l’Accademia tedesca di Pubblica Amministrazione Walter Ulbricht (DVA), intitolata al futuro leader del regime di Pankow.
A gestire il restauro della struttura fu chiamata una vera archistar del blocco sovietico: l’architetto jugoslavo Selman Selmanagic, storico esponente del Bauhaus, che avrebbe poi partecipato ai lavori dello Stadion der Weltjugend, lo Stadio di Berlino Est, demolito nel 1992 e sul cui terreno è stata costruita la sede dell’intelligence tedesca, la BND. La decorazione degli interni fu invece affidata al pittore Lothar Zitzmann, futuro esponente di spicco del “realismo socialista” e passato alla storia locale negli anni ‘70 per aver dipinto gli interni del Palast der Republik, l’assemblea parlamentare della DDR a Berlino Est.
Ironia della sorte, questa profusione di risorse e celebrità per realizzare l’Accademia di partito ideale, fu presto frustrata dai comandi militari degli alleati russi, che nel 1953 reclamarono nuovamente la struttura e costrinsero l’accademia a trasferirsi nella sua sede definitiva di Potsdam-Babelsberg. Forst Zinna fu quindi occupata ancora una volta dai sovietici, che allargarono la struttura con ampi ricoveri per mezzi corazzati e, negli anni ‘70, realizzarono anche nuovi edifici per ospitare un battaglione del Genio militare.
Neues Lager, dopo vari utilizzi provvisori da parte delle truppe occupanti, fu infine destinato in pianta stabile ad ospitare un’intera unità di carri armati sovietici: la 14esima Divisione Motorizzata delle Guardie, distintasi durante il conflitto mondiale in diverse battaglie campali della guerra contro i tedeschi, come lo scontro di Kursk e l’assalto finale a Berlino. Nell’agosto 1968 le sue truppe stanziate a Jüterbog parteciparono all’invasione della Cecoslovacchia ed al soffocamento della Primavera di Praga. Nel 1982 l’unità fu infine ribattezzata 32esima Divisione corazzata “Poltava”.
I carristi e la fanteria motorizzata vennero sistemati nelle vecchie caserme intorno al poligono, nell’area di Tauentzienstraße e in parte anche nelle caserme di Altes Lager fuori dall’accampamento dell’aviazione. I vecchi ricoveri per l’artiglieria furono però in larga parte demoliti per fare spazio ad un’enorme distesa di basse rimesse per carri armati, veicoli ed officine di riparazione. Anche il grande ospedale fu restaurato e messo al servizio dei nuovi occupanti.
“Al culmine della Guerra Fredda, l’estensione dell’area militarizzata toccò il record di 20.000 ettari”, riprende Henrik Schulze, che della Guerra Fredda è stato testimone per buona parte della sua vita. “Praticamente due terzi dell’area comunale erano sotto il controllo dell’Armata Rossa, senza contare che Altes Lager si trovava fuori dall’area municipale della cittadina.”
Viene naturale interpellare lo storico del luogo sulle relazioni tra le truppe sovietiche e la popolazione locale, che era più che doppiata in numero da questa enorme armata straniera stanziata alle porte di casa. E anche sulla vita condotta dai soldati russi in queste installazioni. E infatti sono entrambi argomenti sui quali il nostro interlocutore ha molte risposte da dare, molte delle quali inattese ma autentiche, in quanto frutto degli incontri da lui effettuati anche in Russia con diversi ex militari che prestarono servizio nelle installazioni.
“Il servizio militare sovietico nella DDR durava due anni. Servire la patria e la sicurezza della Russia in questo luogo era considerato un onore, essendo la Germania la “linea del fronte” del confronto con il blocco occidentale. Un’esperienza che per gli ufficiali poteva anche accelerare la salita di grado nella carriera militare professionista” Ma dietro l’orgoglio patriottico, le storie personali raccontano una realtà assai meno edificante.
“Di rapporto diretto vero e proprio con i militari russi come abitante del luogo mi è difficile parlare, e lo stesso vale per i miei concittadini, visto che praticamente coi soldati semplici non ve ne era alcuno. Buona parte di loro mi ha confermato di avere vissuto letteralmente segregato all’interno delle caserme per tutto il biennio. Tanto per fare un confronto, durante il mio servizio militare nella NVA (l’esercito della Germania Orientale), ebbi a disposizione 18 giorni liberi su un anno e mezzo di leva. I soldati semplici di questi accampamenti erano autorizzati ad una sola giornata di licenza, impiegabile solo a Jüterbog, e non in centri abitati maggiori.”
Questa “libera uscita” era peraltro difficilmente definibile come tale: i soldati potevano aggirarsi per la cittadina solo accompagnati da un ufficiale. Questo bizzarro giorno di libertà era peraltro condizionato: se la Compagnia dei soldati non si era “comportata bene”, poteva essere revocata.
Gli unici giorni di contatto diffuso tra popolazione e soldati erano quindi le piccole parate militari che si tenevano nella strade e nella piazza della cittadina per le ricorrenze ufficiali sovietiche e della DDR.
A differenza dell’epoca prussiana, riferisce Schulze, l’impatto economico delle installazioni militari fu praticamente nullo, e per certi versi addirittura negativo, nonostante il numero enormemente superiore dei militari di stanza. “Le truppe sovietiche non si procuravano alcun bene comprando merce o beni alimentari del luogo, visto che erano mantenute in tutto e per tutto coi fondi e le risorse provenienti dall’URSS. Vista la chiusura pressoché ermetica di buona parte dei soldati dentro i campi, sarebbe stato anche difficile il contrario.”
Il discorso si capovolgeva letteralmente con gli ufficiali al comando dei reparti stanziati sul posto. “Il loro tenore di vita rispetto ai soldati semplici era altissimo. Non solo avevano a disposizione molte più libere uscite e paghe molto più elevate, ma potevano portare a vivere nel campo anche mogli e figli, alcuni dei quali venivano dati alla luce proprio nell’ospedale militare di Neues Lager”.
Una circostanza, quest’ultima, che spiega le decorazioni da asilo nido che si trovano dentro diverse stanze dell’edificio abbandonato. Tra i muri scrostati, la muffa e fogli di quotidiani sovietici incollati alle pareti, è ancora oggi possibile ammirare raffigurazioni fumettistiche di animali e personaggi di fantasia del tutto sconosciuti agli occhi di un occidentale, alcuni dei quali evidentemente prodotti della pubblicistica per bambini dell’Unione Sovietica.
Proprio le famiglie degli ufficiali e la loro condizione agiata finirono però per rappresentare un problema. “Il corto circuito sul versante economico non era la presenza dei militari in sé, ma la combinazione tra i meccanismi di sostentamento dei baraccamenti, l’economia pianificata della DDR e questa elevatissima disuguaglianza tra ufficiali e soldati semplici”. “Grazie agli elevati stipendi dei mariti ed al molto tempo libero a disposizione, le mogli degli ufficiali si sbarazzavano regolarmente di cibi, vestiti e altri beni di consumo ricevuti dalla Russia. Si recavano poi in paese e facevano letteralmente razzia dei prodotti, di qualità assai superiore a quelli russi, che trovavano alla filiale locale del Konsum, il supermercato della DDR.”
Il problema era che, soprattutto nei piccoli centri come Jüterbog, l’economia della Germania Orientale era pianificata e razionata anche sul versante dell’offerta a seconda dell’entità della popolazione, e quindi dei consumatori. Il risultato era che una volta passata questa pacifica razzia, non prevista sugli schemi dei burocrati che gestivano la produzione e l’assegnazione di beni di consumo, gli scaffali di alcuni prodotti rimanevano vuoti per giorni prima di essere rimpinguati. “Trovare vestiti per bambini sul mercato locale era diventata una vera impresa”.
Le condizioni di vita dei soldati semplici russi dentro i campi potevano divenire davvero degradanti. “Negli anni ‘50 e primi ‘60 i codici di condotta militari russi prevedevano ancora punizioni corporali, che ad Occidente rimanevano in vigore solo negli ultimi eserciti coloniali. Una circostanza che esponeva i soldati semplici a frequenti abusi da parte dei loro superiori.” Oltre all’isolamento dalla realtà locale ed alla completa dipendenza dai rifornimenti in arrivo dalla madrepatria, le paghe dei soldati facevano il resto.
“A fronte degli stipendi di tutto rispetto dei superiori, il soldato russo di grado meno elevato di stanza qui percepiva una media di 18 marchi al mese. Quando ero in servizio militare nella NVA la mia paga era di 80 marchi. Completamente isolati da famiglie e affetti e dal mondo circostante per due anni di servizio, non pochi soldati scivolavano nella depressione e nell’alcolismo.”.La situazione andò peggiorando negli anni ‘80, con la crisi economica del blocco sovietico e l’arrivo sempre più a singhiozzo delle provvigioni per il mantenimento della truppa. “Nell’ultimo decennio della Guerra Fredda, all’interno dei campi militari la scarsità di beni generò una escalation di contrabbando, furti e piccola criminalità in generale”.
La tensione legata al confronto militare con la NATO era una costante percepita tra gli abitanti della cittadina, al punto da non fare più notizia. Jüterbog era continuamente investita dai rumori delle installazioni militari, e si trovava direttamente sulla verticale di atterraggio dei jet dell’aeroporto di Altes Lager, per non parlare degli elicotteri di Jüterbog Damm, che decollavano letteralmente alle porte della cittadina. La crisi dei missili di Cuba e quella relativa all’installazione dei missili Pershing e Cruise nella Germania Occidentale nel 1983, per quanto certamente foriere di un aumento delle attività militari, furono difficilmente distinguibili da una giornata qualunque delle attività dei campi.
Lo spettro del conflitto nucleare su vasta scala con la NATO, era però era ben più di una semplice impressione.
“Le installazioni militari di Jüterbog non includevano basi di lancio vere e proprie per missili balistici sovietici a medio raggio, come i famosi SS-20, che erano situati in altri distaccamenti. Ed il Reggimento 833 di base nell’aerodromo era composto di aerei da caccia, e non da attacco al suolo”, specifica Schulze. Ma aggiunge che in caso di conflitto, anche la base aerea di Altes Lager e le truppe di terra erano state preparate per ogni evenienza. “In un’area nascosta dalla vegetazione di fianco alla pista dell’aeroporto, era stato edificato un grande bunker chiuso da una pesante porta in acciaio, i cui sotterranei erano attrezzati per ospitare testate nucleari e chimiche sganciabili anche dagli aerei di base sull’aeroporto“. Si trattava, nel caso delle bombe atomiche, delle cosiddette testate “tattiche”, ordigni nucleari a potenziale relativamente basso (si fa per dire, siamo comunque nell’ordine di 1-20 kilotoni equivalenti di esplosivo, dove 1 kilotone = 1.000 tonnellate di dinamite) da utilizzare contro installazioni avversarie o truppe nemiche sul campo di battaglia vero e proprio, a fianco degli armamenti convenzionali.
“I piloti dei Mig-21 e Mig-23 di Altes Lager erano addestrati a sganciare la testata verso il bersaglio mentre l’aereo saliva di quota in diagonale, in modo che la bomba avrebbe descritto un lungo arco inerziale prima di esplodere, lasciando al pilota il tempo di allontanarsi dall’area e non venire investito dall’onda d’urto”. Curiosamente però, aggiunge Schulze, il bunker non fu mai utilizzato per lo scopo per il quale era stato costruito. “Le testate rimasero per buona parte della Guerra Fredda immagazzinate nei bunker nascosti tra la boscaglia di un’installazione militare segreta a 20 chilometri a sud di Jüterbog”.
Quest’ultima installazione, i cui resti sono ancora oggi visibili, era tra le più segrete di tutta la Germania dell’Est. Si trattava del deposito sotterraneo di Linda-Stonlzenhein, costruito nel 1967-68, dove le truppe sovietiche immagazzinarono fino alla fine della Guerra Fredda non meno di 200 testate nucleari tattiche, che in caso di conflitto potevano non solo essere trasferite nelle basi russe nei dintorni, ma anche consegnate all’esercito e all’aviazione della DDR per l’utilizzo contro le truppe della NATO. Non a caso, il deposito era localizzato a metà strada tra l’aeroporto di Altes Lager e la base aerea tedesco-orientale di Holzdorf, situata a circa 12 chilometri ancora più a sud, in territorio sassone, e tutt’oggi utilizzata dalle forze armate della Germania unificata.
“Dentro questo deposito”, prosegue Schulze, “erano immagazzinati anche alcuni grandi razzi d’artiglieria del tipo “Frog” ed i missili balistici a corta gittata “Scud”.” Entrambi gli ordigni erano dotabili di testate chimiche e nucleari di piccola e media potenza, e sarebbero rapidamente stati dispiegati nei presidi intorno alla cittadina in caso di necessità, trasportati su veicoli di lancio dotati di ruote o su cingolati che ne permettevano lo spostamento rapido su strade e terreno.
Quel che era certo, conclude lo storico, era che in caso di conflitto nucleare, in questa area – come in molte altre della Germania – non vi sarebbe stato alcuno scampo. “Tedeschi orientali ed occidentali avrebbero lanciato gli uni contro gli altri le armi atomiche delle rispettive potenze occupanti, devastando il loro stesso Paese più di qualunque altro luogo al mondo. Le ricadute radioattive di molte testate utilizzate avrebbero colpito anche la parte che le aveva lanciate”.
La pagina nera della Guerra Fredda nei dintorni di Jüterbog furono però gli incidenti legati alla circolazione sulle vie di comunicazioni locali dei reparti militari. Secondo le stime raccolte da Henrik Schulze negli archivi della polizia locale, soltanto tra il 1982 ed il 1989, nell’intero distretto circostante di Luckenwalde si verificarono ben 224 tra tamponamenti ed incidenti stradali che coinvolsero i mezzi delle truppe sovietiche. Il bilancio totale solo di quest’ultimo periodo di Guerra fredda fu di dieci morti e 44 feriti, tra soldati e civili del luogo.
L’episodio più oscuro fu però l’incidente ferroviario verificatosi il 1 marzo 1962 sul tratto di ferrovia compreso tra Trebin e Luckenwalde. Un evento che per la sua gravità venne deliberatamente coperto dal segreto di Stato per quasi 30 anni, e del quale proprio Schulze sarebbe uno dei personaggi che lo hanno riportato a conoscenza del pubblico.
“Quel giorno”, racconta lo storico, “un convoglio ferroviario militare pieno di soldati russi proveniente da Jüterbog e diretto a Berlino incrociò poco prima di Trebin un treno civile diretto a Lipsia. Su uno dei vagoni scoperti era caricato un carro armato T-55. La torretta del carro, male assicurata al momento del carico, ruppe la corda che la teneva legata all’affusto del veicolo, e il moto del treno la fece girare in direzione del binario di fianco. Il cannone sfondò tre vagoni del treno civile proveniente dal senso inverso, uccidendo un passeggero e ferendone diversi altri. Il carro armato fu quindi letteralmente sollevato dal moto inverso dei vagoni che aveva colpito, e ricadde all’indietro sulle altre carrozze, provocando a catena il deragliamento di tutto il resto dei vagoni che trasportavano i soldati.”
Il numero esatto delle vittime non è mai stato accertato. I testimoni rintracciati da Schulze ed altri investigatori tra i soccorritori che giunsero sul luogo parlano di un numero compreso tra le 70 e le 100 vittime tra i militari sovietici, un conto reso difficoltoso ancora oggi dalla nazionalità russa delle vittime.
Ma anche dall’immediato muro di segretezza che autorità militari sovietiche ed il governo tedesco-orientale fecero cadere sull’accaduto. “Tra lo sbigottimento di tutti coloro che si erano trovati davanti a questa carneficina – poliziotti locali, pompieri e lavoratori delle ferrovie – le autorità imposero a tutti il silenzio totale sull’accaduto. E subito dopo, anche di sgomberare il più velocemente possibile il sito del disastro, perché la linea ferroviaria interessata era quella diretta a Lipsia, che avrebbe visto nei giorni successivi passare i convogli passeggeri pieni di visitatori per la ricorrente fiera della città”.
Al personale delle ferrovie fu proibito di redigere rapporto sull’accaduto. L’unica vittima menzionata dalla stampa fu quella di nazionalità tedesco-orientale, che viaggiava sul convoglio passeggeri.
Il secondo più grave incidente ferroviario avvenne a poche centinaia di metri dalla caserma di Forst Zinna il 19 gennaio 1988, ed è invece assai noto al pubblico locale. Un carro armato sovietico T-64 tentò di attraversare erroneamente il tracciato della ferrovia e si bloccò sui binari proprio al sopraggiungere di un treno passeggeri proveniente dalla capitale. I tre carristi abbandonarono rapidamente il mezzo, che fu investito in pieno dal convoglio e sbalzato ad un centinaio di metri di distanza dalla violenza dell’urto. Morirono i due macchinisti e quattro passeggeri, mentre altre 33 persone rimasero ferite. L’insolita trasparenza del regime tedesco-orientale sull’incidente fu dovuta paradossalmente alle crescenti tensioni tra la leadership di Honecker ed il riformismo inaugurato da Gorbacev in URSS.
“Si era in un periodo nel quale il leader sovietico stava cercando di promuovere la Perestrojka e le riforme economiche e politiche anche nel resto del blocco, provocando le ire delle leadership comuniste più ostili al cambiamento, come per l’appunto quella della DDR. Le autorità della DDR sfruttarono quindi questo incidente come rivalsa all’interno dello scontro. Dopo decenni di incidenti relativi alla presenza militare sovietica coperti o poco pubblicizzati, le foto e i filmati del disastro finirono in prima pagina non solo sulla stampa locale, ma anche sui media della Germania Occidentale.”
Le Reichsbahn – le ferrovie della Germania dell’Est – presentarono perfino una richiesta milionaria di risarcimento danni al Ministero della Difesa sovietico, che però non risulta mai essere stato pagato. I due carristi responsabili dell’incidente furono rapidamente rimpatriati in Russia e condannati da un tribunale militare, anche se si ignora l’ammontare della pena e quanto ne sia stata scontata.
La fine della Guerra Fredda mise di lì a poco la parola fine al lungo sentiero storico delle caserme di Jüterbog. La smobilitazione dell’Armata Rossa dalle basi del luogo non fu però immediata. Le lunghe trattative politiche sullo stato della Germania unificata rispetto alla NATO e soprattutto le disastrose condizioni finanziarie della Russia post-sovietica, prolungarono il disimpegno militare sovietico per quasi un quinquennio dopo il crollo del Muro di Berlino. Mosca non aveva semplicemente le risorse sufficienti per rimpatriare di colpo quasi mezzo milione di militari e famiglie sparsi per il territorio della ex Germania dell’Est, per non parlare del trasporto o dello smaltimento di milioni di tonnellate di equipaggiamenti e armamenti di ogni tipo.
I primi a lasciare Jüterbog furono i carristi della divisione “Poltava”, che chiusero i cancelli dei ricoveri di Neues Lager e di Tauentzienstraße nel giugno 1989, già prima del crollo del Muro, con il rimpatrio parziale di truppe dal Patto di Varsavia ordinato da Gorbacev pochi mesi prima. La divisione non sopravvisse alla fine della Cortina di ferro, e fu sciolta al momento del sua arrivo in Ucraina il mese successivo. Le caserme vicine alle rimesse dei veicoli furono evacuate invece solo nel 1993. L’aeroporto di Altes Lager e la base di elicotteri a Jüterbog Damm chiusero i battenti nel luglio 1992, quando gli ultimi Mig-23 con la stella rossa rimasti decollarono dalla pista per un lungo viaggio verso oriente senza ritorno. Seguirono di lì a poco anche la dismissione dell’ospedale militare di Neues Lager e della caserma di Forst Zinna. Gli ultimi militari russi presenti nella zona lasciarono le caserme di Altes Lager nel luglio 1994.
“La scarsità dei contatti che avevamo con la maggior parte di loro, fece della dipartita dei russi un evento non particolarmente celebrato. In città furono in pochi ad avere il sentore dell’abbandono delle basi militari: avevamo tutti altro a cui pensare”, commenta laconico Schulze. “40 anni di economia pianificata ci erano letteralmente crollati in testa, e ognuno di noi lottava per trovare nuovo impiego e vita nell’economia di mercato. Una transizione piuttosto difficoltosa”.
Nel marasma della transizione post-Muro, le autorità locali e quelle regionali del Brandeburgo realizzarono solo negli anni successivi di avere ereditato dalla Guerra Fredda non solo un patrimonio architettonico storico, ma anche una vera e propria bomba ecologica. “Il quantitativo di carburanti e lubrificanti chimici che fu ritrovato nel terreno era gigantesco”, racconta Schulze.
“I treni che rifornivano la base aerea di Altes Lager di cherosene per gli aerei lo scaricavano con semplici tubature di gomma nei serbatoi di stoccaggio, tra perdite e debordamenti continui. A scarico ultimato, il cherosene avanzato nelle cisterne veniva sversato senza tanti scrupoli nell’ambiente circostante. Quando vennero effettuati i primi rilevamenti, risultò che lo strato della sostanza finito nel sottosuolo a contatto con la falda acquifera era spesso circa due metri, per un totale 3.500 tonnellate di carburante disperso. Pompato in buona parte fuori dal sottosuolo, si è infine deciso di lasciarne una parte sul posto per evitare ulteriori dispersioni. Essendo più leggero dell’acqua, non dovrebbe esservi più rischio di contaminazione diffusa della falda acquifera”.
Il secondo caso più serio di inquinamento lasciato dalle basi militari si trova tutt’oggi nel bel mezzo della desolazione della rimessa per carri di Neues Lager, tra i ricoveri per veicoli abbandonati. Un vecchio edificio diroccato basso e grigio sovrastato da una piccola ciminiera squadrata, segnala la presenza della vecchia lavanderia di campo, costruita dalla Wehrmacht nel 1934 e poi allargata dai sovietici. Nei suoi paraggi, il visitatore odierno scorge alcuni piccoli impianti rumorosi, in funzione a ciclo continuo, sovrastati da quelle che appaiono come piccole trivelle. Si tratta dei costosi macchinari per depurare il terreno dalla contaminazione di tricloroetilene.
“La sostanza era utilizzata per pulire tute, divise e strumenti da lavoro dei meccanici e dei carristi da oli e grassi, coi quali erano perennemente a contatto. La lavanderia sversava quindi vasti quantitativi delle acque reflue dai lavaggi direttamente nel terreno.” Il risultato fu la pesante contaminazione di circa 15 ettari di suolo sia con il diluente che con le sostanze derivate dai lavaggi. “La decontaminazione del terreno da questa sostanza è particolarmente lunga e costosa, in quanto a temperatura ambiente la sostanza a contatto con l’aria, gassifica. Disperdendo nell’aria pericolosi gas di cloro”. I lavori per la pulizia del sito sono in corso dal 2004 e dureranno fino al principio del prossimo decennio, per un costo stimato totale di 7 milioni di euro.
Decine di altre strutture in tutti i campi militari sono già state demolite per la presenza di amianto, mercurio e di altri sostanze pericolose. Nel caso del deposito di munizioni a nord di Altes Lager, nel 2007 si è dovuto procedere a rimuovere sia i residui chimici dei materiali utilizzati per la manutenzione delle munizioni, sia quelli derivati dalla fabbricazione di esplosivi ancora presenti nel sottosuolo dai tempi della fabbrica di munizioni, dismessa a fine guerra mondiale. La struttura è stata poi in larga parte demolita.
“Neues Lager ha visto demolite già molte delle strutture abbandonate. Le rimesse per i carri non rivestono nessuna importanza dal punto di vista architettonico e storico. Una volta terminate le operazioni di decontaminazione, l’area verrà demolita e riconsegnata alla natura. Non vi sono però progetti di recupero per le caserme nei pressi del sito.” In compenso, nel 1996, il vecchio casinò degli ufficiali del campo è stato trasformato in un centro culturale, battezzato Das Haus, che organizza al suo interno concerti, letture e spettacoli teatrali.
“Per Forst Zinna si sono succeduti anni di ipotesi e progetti, ivi incluso quello di una compagnia americana che appariva interessata ad investire nella struttura per farne una “Disneyland” brandeburghese. Progetto poi abbandonato, tra le altre cause, per la provenienza poco chiara dei fondi che si intendevano investire.” L’area rimane quindi tutt’ora abbandonata e sempre più aggredita dalla foresta circostante.
L’unica tra le caserme parzialmente recuperata è quella di Tauentzienstraße, vicino alla stazione.
“Le sue eleganti caratteristiche di edifici tardo-ottocenteschi hanno suscitato l’interesse di agenzie immobiliari e costruttori, che alcuni anni fa ne hanno restaurati alcuni e adibiti ad appartamenti.” Anche la parte settentrionale di questo insediamento però rimane lasciata a se stessa, e le demolizioni si susseguono anno dopo anno. Stesso destino sembrano avere gli acquartieramenti di Jüterbog Damm, a sud della cittadina.
L’ex aeroporto militare è stato in parte recuperato come campo di volo da turismo, ed è oggi un punto di riferimento regionale per i piloti di alianti, ultraleggeri e parapendii. La pista è stata però “tagliata” della sua parte orientale, dove rimangono tre hangar per gli aerei da combattimento realizzati dai sovietici ed uno addirittura risalente ai tempi della Luftwaffe. Tutti e quattro oscillano tra l’utilizzo come deposito di materiali e l’abbandono. I boschi nei dintorni del campo di volo sono costellati di bunker e sotterranei, per i quali non è previsto alcun lavoro di recupero.
Quanto alle grandi caserme aeronautiche a nord del campo, Henrik Schulze stringe le spalle non senza un moto di sconsolatezza, prima di congedarsi. “Si sono succeduti anni di studi, progetti e proposte. Ma i problemi rimangono sempre gli stessi: pochi fondi pubblici, troppo lontano dalle vie di comunicazione, troppo costoso effettuare un’opera di restauro complessiva, una popolazione locale scarsa, e pochi investitori privati interessati”. Nonostante l’enorme estensione del sito e il suo indubbio valore storico, anche il destino di Altes Lager sembra dunque essere segnato: soccombere alle ferite inflitte dal trascorrere del tempo.
Nel 1994, all’interno del deposito di munizioni a nord di Altes Lager, è stato rinvenuto, ormai in rovina, il piccolo obelisco eretto nel 1871 in memoria dei prigionieri di guerra francesi morti durante i lavori di costruzione del primo campo per gli artiglieri. Inizialmente solo spostata per sottrarla ad altri danni durante la demolizione della santabarbara, la lapide è stata poi spedita in un laboratorio e finemente restaurata. Il 13 settembre 2008, il piccolo monumento commemorativo è stato nuovamente inaugurato in uno spiazzo vicino alla ferrovia che collega il sobborgo a Jüterbog. Ai suoi piedi, i residenti del luogo depongono periodicamente una corona di foglie e fiori.
Federico Giamperoli, bolognese di nascita e formazione da scienziato politico, è approdato a Berlino dopo Corea del Sud e Scozia, dove l’aura di Glasgow gli ha infuso l’attrazione – tutta amatoriale – per l’abbandono post-industriale e la storia degli insediamenti urbani. Si ostina ad affidarsi ad un telefono per le foto. Urban explorer gli pare una descrizione di sé esagerata, anche se non nasconde a nessuno di volerlo essere.
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