Un racconto di Luca Tosi
Le gomitiere da pallavolo, strette. Tatuaggioni che gli partono dalla nuca, giù per le spalle, braccia, fino ai polsi: teschi che ridono, draghi verdi rossi blu con la lingua fuori ma più di tutto, al centro del petto, il marchio “SINCE 1980”. Pantaloni militari, cintura con le borchie a spuntelli e un paio di anfibi ai piedi.
«Che bestia è, quello lì?» mi dice Ivan.
Il buttafuori si porta un dito all’orecchio e spinge sull’auricolare; il bicipite gli diventa un palloncino di vene; con la testa fa sì-sì, le guance che grondano.
«Pensa quando si deve spogliare. Ci vuole una gru» dico a Ivan.
«Secondo me è un nazistone» dice Riki.
Siamo i primi in fila, una biscia di gente dietro di noi: i maschi, tutti a maniche corte, fumano o si guardano male. Anche noi fumiamo, ci piace parecchio. Ivan ha anche il tic di scatarrare per terra, in dieci minuti ti fonda una pozzanghera.
«Voi, dentro» dice il buttafuori.
Gli sfiliamo vicini, uno alla volta, buoni come i capretti; poi tappa il passaggio, gli basta mettere un braccio. Ivan è in testa, Riki subito a ruota, poi io, Carlo e la Paola; sta a braccia conserte, la Paola, in discoteca. Su per le scale mi s’incollano i piedi agli scalini. Filiamo dritti alla pista centrale, dove si radunano le bionde: tedesche, svedesi, esquimesi, difficile inquadrarle. Le facce scottate, luccicano dai nasi. La musica pompa.
«Densità di figa altissima» dice Riki, poi s’infila in pista.
Le bionde ballano sotto il soffitto basso, si tratta solo di andarsele a prendere.
«Mai sparare sullo stormo, sennò si va in bianco» fa Ivan.
Per prima cosa, bisogna piazzarsi dietro alla passera mentre balla, e gonfiare il petto. Se si attacca in gruppo dev’esserci materiale per tutti, altrimenti ci si scanna a vicenda. Le sfiori la schiena, deve capire che sei arrivato. Non c’è d’aver paura. Lei si gira, ti squadra. Le sniffi i capelli e quand’è il momento, senza fretta, tricchete, la prendi con la tenaglia. Mani sui fianchi, senza stringere, solo sentirla. Se va in porto, sei a posto: ti ci appiccichi con aderenza, pacco al culo, e appena si gira ancora, lingua in bocca a lavatrice. E vedrai che si fa toccare, tocchi tutto quello che vuoi.
Riki è nella selva, sembra un coniglio che si è perso. Seduti su un divanetto che è tutta spugna, Carlo e la Paola ci tengono d’occhio. Io e Ivan ci sversiamo un paio di vodkine al bancone. Lì vicino, due fighe appoggiate alla colonna succhiano dalle cannucce, a sorsetti. Bevono un drink rosa gonfio di ghiaccio. Una è bionda, l’altra no.
«Attacchi te?» dico a Ivan.
«In inglese non mi rimedio.»
Però è ispirato, ha voglia. Le mettiamo nel mirino, sguardi da caccia a oltranza, loro ridono. Andiamo avanti compatti e Ivan parla. Vengono dalla Lituania. Mi sposto sulla bionda e le chiedo una “cigaretten”, lei apre la borsetta e prende su le Winston rosse. Accendino nero, occhi azzurri.
«Cazzo fai? Lei è mia» mi dice Ivan.
«Ormai.»
«Ormai il cazzo. Attacco io, scelgo io.»
La bionda mi schiaccia la sigaretta in bocca e me l’accende. Ivan capisce da solo e ritorna sull’altra: non ne vale la pena di montar su un tribunale. Lei mette via le Winston e pesca il cellulare. Legge un messaggio all’altra, poi ci fanno “cinque” con le dita e vanno via.
«Cinque cosa» dice Ivan. «Minuti?» e sputa per terra.
Vedo la Paola alzarsi dal divanetto per venirci incontro, con Carlo a rimorchio. Riki è in mezzo alla pista in modalità vedetta, schiena dritta come i ciechi; ha in pentola una ricciola con due spalle così, le tette che scodellano.
«Spingi sul gas, canaglia!» gli urla Ivan.
«Mi dite fra quanto andiamo a casa?» dice la Paola.
Le bionde in pista sono tutte prenotate; c’è un palestrato che palpa l’unica rossa, secca e lentigginosa. Poi un tappo di quindici anni, non nano ma ci va vicino, corre come se gli avessero appena slacciato il guinzaglio. Dove la trova una nordica sotto il metro e sessanta? Non esistono proprio.
«Ve’, tornano le lituane» mi fa Ivan. «Stai pronto.»
Mattonelle azzurre su tutte le pareti, lucide, neon al soffitto, un omino nero con la gonna appiccicato sulla porta e un altro uguale, sempre con la gonna, sull’altra porta. I lavandini sgocciolano. Sotto il neon, le loro cosce sembrano fatte di pasta all’uovo.
«Te la lascio, la bionda» mi dice Ivan.
Poi inchioda la sua con una tenaglia da manuale. Lo copio e mi porto la bionda addosso, lei schiaccia il mento sul petto. Con la coda dell’occhio vedo Ivan e l’altra che limonano. La bacio sul collo, che a me piacciono un sacco i colli.
«Last night in Rimini» mi dice, allora mi spiaccico sulla sua bocca.
Senza mollarle la lingua, la traino dentro il cesso, lei chiude la porta. Mani a coppa sul culo, stringo bene, poi le abbasso i pantaloncini e giù con due dita tra le gambe. Sento sbattere anche la porta dell’altro cesso. Mi slaccia la cintura. Le spremo le zizze da sotto la canotta, e lei si piega un po’. Mi morsica le orecchie, chiudo gli occhi. È così fresca la sua pelle, un lenzuolo che respira.
Bussano alla porta.
«I’m in!» dice.
Sembrano in tante. Urlano, ridono.
«Cazzo vogliono?» sento dire da Ivan, dall’altro cesso.
La bionda mi prende la mano e se la cava dalle mutande. Si fa crollare i capelli di lato, poi li raccoglie con un elastico. Aspetto, non so cosa dire. Solo adesso sento che c’è una gran puzza di sbocco qui dentro. Apre la porta, un passo avanti. Poi si gira, ci baciamo, ma di meno. Va via con le altre. Rimango così, dentro il cesso, con la porta aperta e la cintura che penzola. Sono sei mesi che non faccio una scopata.
Riki esce in strada che è fradicio, le braccia aperte, dice:
«Inga, si chiamava. Di Magdeburgo. Una sorca, non te la dà neanche morta.»
Il Carnaby sta per chiudere, il buttafuori è seduto su un muretto, vicino a dei vasi, fuma e si scaccola in pace. Ce ne andiamo verso il parcheggio. I camerieri escono dagli alberghi coi sacchi neri in spalla, li smollano di fianco ai bidoni stracolmi, tra cocci e bottiglie. Due puttane che sono sorelle, ci scommetto. Un night dà sulla strada, è il Lady Godiva, sta aperto fino alle otto di mattina; c’è una scala che va giù sottoterra. Lì vicino c’è un ristorante cinese, i tavolini sotto la veranda rossa. È ancora aperto.
«Fermi tutti» dice Riki. «Quello è Zanza.»
Un uomo biondo sui cinquanta è seduto al primo tavolo. Ha addosso una giacca di pelle aperta sul petto, tutto peli e catenine. Strappa la testa di una canocchia attorcigliata agli spaghetti, poi truccia l’olio da un pentolino di vongole.
«Chi cazzo è Zanza?» chiede Ivan, dentro uno sbadiglio.
«Non sai chi è Zanza? Uno che dicono se n’è fatte a pacchi: tedesche, russe, slave, tutte» dice Riki. «Organizzavano i voli charter dalla Scandinavia apposta per sfiombare con lui. L’ha anche intervistato una rivista tedesca, la Bild, negli anni ’80.»
«Cazzo dici» fa Ivan.
«Davvero, me l’ha detto mio babbo.»
Zanza si passa la lingua sotto il naso, si vede che è allenato. Si accende una sigaretta e la tiene su coi denti. Fissa le cicche nel portacenere. Non ci caga neanche di striscio. Ripenso alla bionda, che domani torna in Lituania, uno di quei posti dove fa freddo anche d’estate; mi sembra di vederla, sull’aereo, che saluta le spiagge dal finestrino, Rimini e il Carnaby diventano minuscoli, un puntino che non vale niente.
Si gratta gli occhi coi pugni chiusi, Zanza, poi spegne la sigaretta e ne alza un’altra dal pacchetto morbido. Saliamo in macchina, guida la Paola, che lei è sobria.
Sul lungomare gli ombrelloni sono tutti chiusi, la sabbia è mossa come il mare, ma non si sposta. La bassa marea lascia delle pozze. Ivan tira giù il finestrino, l’aria gira dentro la macchina. La strada dritta, l’alba che sbatte sugli alberghi. Carlo si è messo a dormire, ci provo anch’io, ma non resisto.
Zanza se lo ricordano tutte, invece i morti di figa marciscono nel dimenticatoio. Ha scritto la storia. Bisognerebbe farsela spiegare da lui, la tenaglia perfetta. Poi si finisce così, seduti a spiluccare le canocchie alle cinque di mattina, da soli. E amen.
LUCA TOSI: Luca Tosi ha ventotto anni ed è di Santarcangelo di Romagna. Scrive dei racconti, alcuni sono apparsi sulle riviste Crapula, Verde, Nazione Indiana, Inutile, Tuffi, L’irrequieto, Zest Letteratura Sostenibile e in altre raccolte. Lavora come correttore di bozze e ghostwriter. Ha un blog.
Titolo originale: Le canocchie hanno le zampe a tenaglia
Immagine di copertina © Mattia Grigolo
REDAZIONE
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